I paesaggi di Celia Hempton alla Galleria Lorcan O’Neill di Roma. Intervista
L’artistaracconta la genesi delle sue opere, nate dal suo interesse per le tematiche di genere, dalla curiosità verso la natura e dalla volontà di andare oltre l’apparenza ROMA - L’artista inglese Celia Hempton è a Roma, ospite della galleria Lorcan O’Neill, con la mostra “Breach”. L’allestimento, aperto al pubblico fino al 5 maggio 2018, presenta tre serie di lavori, apparentemente “distanti” tra loro, ma attraversati da uno stesso fil rouge: il paesaggio. In “Breach” lei presenta tre serie di opere unite dal concetto di paesaggio. Da cosa nasce il suo interesse per questo elemento? I primi paesaggi da me rappresentati sono spesso luoghi in cui sono presenti, in un modo o nell’altro, tematiche di genere; in parte anche perché si tratta di spazi frequentati principalmente da uomini, come cantieri o zone industriali. Spesso venivo attratta da forme che ricordavano il corpo umano, cosicché, nei miei quadri, un tubo assomiglia a un pene, o una montagnola di terra sembra la pancia di una donna incinta. In questi lavori c’è sempre il tema della violazione della proprietà privata, infatti, entravo in quei posti senza permesso, per cui nel dipingere avevo l’urgenza di finire rapidamente, non sapendo quanto tempo avrei avuto a disposizione prima di dover scappare. Alcuni lavori sono vedute dello Stromboli, realizzate direttamente sul posto. Com’è stato il contatto con l’identità paesaggistica del vulcano e in che modo questa particolare situazione fisica, ha influenzato le sue scelte artistiche nella realizzazione delle opere? La prima volta che ho dipinto il vulcano sono stata invitata da Milovan Farronato, curatore del Fiorucci Art Trust, nell’ambito del festival di arte contemporanea Volcano Extravaganza. Milovan conosceva il mio lavoro molto bene e sapeva che dipingo “en plein air” dai tempi dell’accademia. Mentre quando lavoro a un quadro in studio, tendo a controllare ogni aspetto dell’ambiente in cui mi trovo, dipingere così vicino ai crateri di un vulcano in attività, ha cambiato il mio modo di lavorare. L’intensità della situazione mi ha costretto a dipingere in modo diretto e disinvolto. E' stato anche molto faticoso, poiché ci vogliono 3 o 4 ore per raggiungere la vetta, appesantiti dall'attrezzatura necessaria. Una volta sulla cima può essere difficile respirare, o pericoloso, a seconda del livello di attività vulcanica. La maggior parte dei lavori contiene cenere o piccoli detriti dal vulcano - insetti, perfino - che si sono depositati sulla superficie delle tele. Volevo che i lavori presentassero una prova reale del'attività del vulcano. Dalle vedute vulcaniche, sipassa ad altri paesaggi, che sono in realtà raffigurazioni di nudi e parti genitali, maschili e femminili. In che modo lei riconduce questi ritratti a figurazioni paesaggistiche? I paesaggi sono nudi e i nudi sono paesaggi. Anche il vulcano ha qualità antropomorfe: è imprevedibile, se ne percepisce il calore sotto ai piedi, e in qualche modo è vivo. Con la serie “Survaillance paintings”, invece, lei ha realizzato i suoi dipinti lavorando su video di sicurezza hackerati, che ha reperito in internet. I paesaggi nati da questo tipo di lavoro che relazione hanno con le vedute stromboliane e con le fisicità dei corpi da lei ritratti? Dipingere è per me un modo di esplorare e filtrare il mondo in cui vivo attraverso l’osservazione. Trovo i video delle telecamere di sicurezza quasi irresistibili: potrei guardarli per ore. Osservare persone e spazi privati - o anche luoghi pubblici - è in sé un atto voyeuristico, certo, ma è anche molto noioso e abbastanza banale: non ho mai assistito a nessun evento di rilievo mentre guardavo quei video. Tutto avviene in tempo reale, come per i vulcani e i nudi; i cambiamenti di luce in una scena in esterno ad esempio, sono molto simili a quando un modello in studio si muove o deve andare via. Mi piace lavorare all'interno di un sistema che mi forza a finire un quadro velocemente. Nei surveillance paintings è come se stessi registrando una realtà disconnessa e filtrata dalla tecnologia. L'atmosfera generale in questi lavori è molto più solitaria che nella mia serie Chat Random (lavori che eseguo osservando una video chat) perché mentre quando sono in chat stabilisco un contatto con una persona, il mondo dall'altra parte di una telecamera di sicurezza hackerata non è consapevole del mio sguardo. In tutti questi lavori c'è la volontà di andare oltre, per cui ho deciso di intitolare la mostra "Breach". Le atmosfere dei suoi lavori riportano sempre ad un forte senso d’ intimità e leggerezza. Che ruolo ha il colore in tutto ciò? Dedico tanto tempo a riflettere sul colore, è un elemento molto importante. La pittura ad olio poi ha sue qualità specifiche, è una sostanza quasi scultorea. In ogni caso, ogni quadro è diverso dal punto di vista cromatico, per cui non ci sono punti di vista univoci. “Breach” è la sua seconda mostra presso la Galleria Lorcan O’Neill di Roma, ma il suo legame con l’Italia non è nuovo. Lei ha frequentato la British School per due anni, fino al 2010 e parte delle opere presenti in mostra, quelle relative allo Stromboli, le ha realizzate durante il suo recente soggiorno estivo sull’isola. Crede che l’incontro con la realtà italiana abbia contribuito a rendere la sua arte così com’è? Se si, in che modo? Si, sicuramente l'Italia ha avuto un impatto molto profondo sul mio lavoro. Ho realizzato il mio primo wall painting alla British School at Rome, pensando agli affreschi della Villa di Livia a Palazzo Massimo, e agli affreschi romani custoditi al museo archeologico di Napoli. Quando lavoro ai miei wall paintings penso spesso alla relazione fra interno ed esterno, al portare un paesaggio in un interno. Sono rimasta molto colpita dalla monumentalità e dell'ambizione dei monumenti romani. Come conseguenza, il mio approccio alla pittura è diventato molto più energico e audace proprio in Italia. Oltre questa mostra, in questo momento è impegnata in nuovi lavori e progetti futuri? La prossima settimana sarò in Francia, a Le Confort Moderne, Poitiers, per una performance con Sam Hempton incentrata sulla mia esperienza in Tor, un browser che si addentra nel Deep Web. All'inizio di Marzo lavorerò a un wall painting per lo spazio di New York PS122, per la mostra "Kathy Acker: Who Wants to be Human All the Time". Al momento sto lavorando a nuovi auto-ritratti della mia vagina, e a lavori di grandi dimensioni su cantieri edili. {igallery id=2058|cid=881|pid=1|type=category|children=0|addlinks=0|tags=|limit=0} ...